La parola
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Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto

V domenica di Quaresima (18 marzo 2018)

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. 

Anche nel momento della crisi di fedeltà e quindi di punizione, Dio interviene con messaggio di conforto: visto che l’antica Alleanza non è stata rispettata dall’uomo, il quale aveva a disposizione la Legge incisa su pietra, Dio promette una Alleanza nuova, i cui termini sono interiori all’uomo, Mentre da parte divina ci sarà il perdono del male.

Cristo realizza l’Alleanza nuova in se stesso: unico ed autentico sacerdote, presenta al Padre suppliche e sofferenze, che valgano a riscattare l’umanità.

Culmine dell’opera salvifica di Cristo è la passione, in cui egli compie la volontà divina, attuando alleanza nuova profetizzata. I suoi seguaci sono chiamati a seguire le sue orme di sofferente, per rimanere incorporati a lui ed essere, a loro volta, fecondi di frutti spirituali per se stessi e per i fratelli.           

 

Gesù è giunto a Gerusalemme per partecipare alle imminenti festività pasquali, le ultime per lui. Al suo arrivo è stato accolto trionfalmente, come mai prima.

Tra coloro che sono “saliti” alla Città Santa “per il culto” ci sono alcuni Greci, i quali pur non appartenendo al Popolo Eletto, ne condividono la fede nell’unico vero Dio, individuati dagli Atti degli Apostoli come “Greci credenti in Dio” (At 17,4).

Costoro interpellano Filippo, un discepolo che – a motivo del nome greco e per a provenienza da Betsaida, località di confine, ove più facilmente si parla la lingua ellenica – suppongono comprenda quanto dicono. Hanno intenzione di “vedere Gesù”, presumibilmente non accomunati alla folla, ma in maniera più diretta, più personale, che consenta un colloquio, una conoscenza più approfondita.

Essi fanno parte di quel “mondo” esterno ad Israele, a cui Gesù – come più d’una volta ha detto – ha la missione di portare la salvezza, come agli ebrei. La loro richiesta merita pertanto di essere registrata particolareggiatamente dall’evangelista: Filippo va a riferire ad Andrea, il quale – anch’egli di nome greco e compaesano – può intendersi con i Greci ed eventualmente far da tramite tra essi e Gesù. Parimenti viene evidenziato il ruolo di mediazione che i discepoli sono chiamati a svolgere per condurre i fratelli a Cristo.

Questi rilievi non sembrano gratuiti, se si considera che poi l’agiografo non dà alcun seguito narrativo, ma tralascia totalmente narrare come si sia svolto l’incontro richiesto.

Ciò che più importa è riferire la dichiarazione di Gesù: “è giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. E’ il momento decisivo, di cui egli ha parlato ripetutamente: ogni volta che ha detto “non è ancor giunta la mia ora” (Gv 2,4; 7,30; 8,20). “L’ora” suprema, del compimento della sua missione mediante la “glorificazione”, ossia il suo “passaggio dal mondo al Padre” (Gv 13,1) con la sua risurrezione ed ascensione, ma dopo, come coronamento della passione e della crocifissione.

La passione-crocifissione, feconda di salvezza, non può non essere modello per i discepoli, i quali debbono saper rinunciare alla vita terrena, per poter entrare nella vita eterna. Anzi la sofferenza, la partecipazione alla croce è feconda per altri: come il seme che, destinato a non rimanere tale, soffre la macerazione nella terra, ma solo così “produce molto frutto”.

Il discepolo, il quale ha compreso che il “servizio” di Cristo non è qualcosa di umiliante, ma di onorifico, come il servizio a Jahvé in tutto l’Antico Testamento deve seguire le orme del Maestro – incarnazione autentica del “Servo di Jahvé” profetizzato da Isaia – pure nella sofferenza, nell’abnegazione, onde condividerne la glorificazione: “là dove sono io, sarà anche il mio servo”, perché – rimarca – “se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà”. La conferma del Padre – “una voce dal cielo” – è immediata: “l’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò”. Mentre nei sinottici la voce del Padre viene udita in occasione del battesimo nel Giordano e poi della trasfigurazione, è questa l’unica volta che viene riportata dal quarto Vangelo, evidentemente per la rilevanza decisiva degli eventi che Gesù sta per vivere, quelli, appunto, della passione, che sarà drammaticamente sconvolgente per i discepoli (si riprenderanno soltanto dopo la risurrezione).

La “voce dal cielo” attesta che la “glorificazione” sarà immancabile, ma anche che c’è già stata: ogni volta che con i miracoli – che il quarto evangelista dice “segni” – si è manifestata la divinità di Gesù.

I presenti percepiscono la voce come qualcosa di misterioso, celeste; ma non precisamente identificabile: alcuni pensano trattarsi di “un tuono”, che peraltro nell’Antico Testamento sovente è elemento della teofania; altri dicono: “è un angelo” che ha parlato a Cristo. Egli chiarisce che la rivelazione del Padre riguarda lui, ma è rivolta a loro – “questa voce non è venuta per me, ma voi” – sono essi, infatti, che debbono convincersi della sua prossima “glorificazione”.

Poi Gesù completa: questa è l’ora in cui il mondo viene sottoposto a giudizio divino, che avrà come conseguenza la condanna del “principe di questo mondo”, il demonio, principe di coloro che si ribellano a Dio; mentre la salvezza sarà offerta a tutti gli uomini, “attirati tutti” a lui, a Gesù, nel momento in cui sarà “elevato”, nella crocifissione.

A scanso d’equivoci Giovanni esplicita che Gesù fa riferimento alla sua elevazione in croce: “Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire”.

Glorificazione, cioè affermazione della divinità di Gesù, già nella crocifissione, prima ancora che nella risurrezione, perché è attraverso la sofferenza redentrice, di valore infinito, che egli salva l’umanità.

“E’ giunta l'ora” delle tenebre, della sofferenza e l’ora della gloria, del compimento esaustivo della missione salvifica: l’ora dei nemici e l’ora del Padre.

Fonte: Il Cittadino
Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto
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