La parola
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XVIII domenica del tempo ordinario, Luca 12, 13-21

Quello che hai preparato, di chi sarà?

Nel vangelo proposto alla nostra riflessione, Gesù appare come colui che riconduce l'uomo alla radice ultima delle questioni che possono sorgere nella sua esperienza; un anonimo nella folla chiede a Gesù una parola autorevole che induca suo fratello a dividere l'eredità, e il Maestro, come spesso accade, risponde in modo strano, inatteso: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”.

Quello che hai preparato, di chi sarà?

Nel vangelo proposto alla nostra riflessione, Gesù appare come colui che riconduce l'uomo alla radice ultima delle questioni che possono sorgere nella sua esperienza; un anonimo nella folla chiede a Gesù una parola autorevole che induca suo fratello a dividere l'eredità, e il Maestro, come spesso accade, risponde in modo strano, inatteso: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. Cristo rifiuta di svolgere un ruolo giuridico o sociale, e invece, invita i suoi uditori ad una posizione di distacco dai beni materiali, a tenersi lontani da ogni cupidigia, da ogni possesso smodato e disordinato dei beni: in questo modo va al cuore della domanda del suo interlocutore, non accetta di sistemare il problema, ma lo richiama a vegliare per non cadere in un atteggiamento irragionevole e meschino, che potrebbe animare anche la sua pur giusta richiesta. Questo tema, dell'uso sobrio e giusto delle ricchezze, è particolarmente caro a Luca, e come appare dalla parabola qui inserita, attestata solo nel terzo vangelo, si colloca in un orizzonte non tanto sociale o politico, ma molto più radicale: è in gioco la concezione che l'uomo ha della propria esistenza e di ciò che veramente vale e lo fa ricco davanti a Dio, “anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni”. La parabola ha una tonalità chiaramente sapienziale e, nel suo svolgimento narrativo, ha un'immediata trasparenza: Gesù disegna la figura di un uomo, ricco, benestante, che, grazie al buon raccolto, progetta di costruire magazzini più grandi per raccogliervi tutto il grano, e soprattutto prospetta per sé anni in cui poter godere le sue ricchezze, in una vita di riposo e di piacere. Il culmine del progetto di quest'uomo sta proprio in questo futuro, da lui stesso ben disposto e immaginato: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia”. Dove sta l'errore di quest'uomo, che è qualificato da Dio come “stolto”, come insipiente? Non tanto nel fare progetti, alla luce dei beni accumulati, ma in uno sguardo meschino, per cui non vede che i suoi beni, il suo piacere, e, in fondo, restringe lo sguardo, non tiene conto di tutti i fattori della realtà: non si preoccupa minimamente di poter usare almeno parte delle sue ricchezze per condividere i bisogni dei più poveri, pensa di avere davanti a sé molti anni, dimenticando che ogni giorno è dono di Dio, vero e ultimo Signore della vita e del tempo, non si accorge che tutto il suo affanno è rivolto per dei beni che passano, che dovrà lasciare, magari a persone che s'impadroniranno della sua eredità. Con questi tratti drammatici, Cristo rappresenta la follia, l'irragionevolezza e l'ingiustizia di un'esistenza tutta centrata su di sé, un modo d'impostare le scelte e i progetti dove c'è solo il proprio “io”, dove il cuore è incapace di vedere l'altro nella sua povertà, e, soprattutto, ha cancellato Dio dal suo orizzonte: ha accumulato tesori per sé, ma non è diventato ricco agli occhi di Dio, non ha coltivato e custodito quella posizione del cuore, che dona una forma giusta all'esistenza, che impedisce un attaccamento assoluto e disordinato ai beni materiali, e non perde di vista la prima ed elementare evidenza, che non siamo noi i padroni della nostra vita, dei nostri giorni, non siamo noi la sorgente del nostro essere. Certo questa pagina di vangelo assume una particolare risonanza e forza nel nostro oggi, perché è facile riconoscere nell'uomo ricco della parabola un'immagine molto attuale di un certo modo di vivere, di progettare, di pensare e di sentire la vita: quante volte, i progetti dell'uomo sono guidati da questi criteri parziali ed angusti, quante volte sono travolti da avvenimenti imprevisti e dolorosi. Non è che Dio si diverta a far fallire i disegni dell'uomo, ma è l'uomo che rischia di perdere di vista l'essenziale, di non valutare più ciò che davvero è ricchezza e bene, al sicuro da ogni rovescio della fortuna: in questa prospettiva, la parabola racchiude l'invito implicito a saper riconoscere i veri tesori, e a preoccuparci di diventare grandi e ricchi agli occhi di Dio, nella via del bene condiviso e del docile affidamento alla sua volontà e al suo disegno.

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