La parola
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Insegnava loro come uno che ha autorità

IV Domenica del Tempo Ordinario (28 gennaio 2018)

Il giudizio divino sulle vicende umane, le indicazioni e gli ammonimenti vengono mediati da chi Dio stesso sceglie come suo portavoce, come suo profeta.

Questi pertanto ha autorità divina: deve essere ascoltato, come si ascolta Dio.

Il profeta allora ha la responsabilità di indicare la via più sicura per arrivare ad essere in comunione con Dio; ammonisce quindi circa “le preoccupazioni”, che possono ostacolare la comunione perfetta, “le distrazioni”, che possono farla perdere di vista o soltanto ritardarla.

Profeta per eccellenza è Gesù, il quale rivela, manifesta, esprime Dio nella sua parola e nella sua azione, cioè in se stesso. L’autorevolezza della sua parola è garantita dalla sua azione divina. La sua azione divina è motivata, spiegata dalla sua parola.

 

A Cafarnao – “città della consolazione” – località di confine, sull’antica strada che da Damasco conduce al mare, Gesù inizia la sua missione.

Nella sinagoga: è sabato, giorno del Signore, in cui la popolazione si raccoglie per ascoltare la lettura della Sacra Scrittura e la spiegazione. Questa può essere offerta da qualsiasi adulto.

Gesù si inserisce nella vita della comunità e nella sinagoga, dunque, insegna, come può fare chiunque altro.

Ma provoca stupore, non tanto per ciò che dice, quanto per il modo: insegna “come uno che ha autorità e non come gli scribi”. Questi infatti – esegeti di professione – mutuano autorità dai testi sacri che illustrano ed interpretano; Gesù, invece, insegna a nome proprio, appunto autoritativamente. L’ammirazione cresce e s’afferma poi ulteriormente, quando Gesù dimostra autorità, potere anche sulla natura e persino sul demonio, il quale ha preso possesso personale di un uomo presente nella sinagoga.

Il demonio viene chiamato “spirito immondo”, perché per gli ebrei è “immondo” tutto ciò che deve essere escluso dal culto a Jahvé.

L’uomo appartiene a Dio. Soltanto l’anti-Dio, il demonio può presumere di appropriarsi dell’uomo. In tal caso è soltanto Dio che può liberare l’uomo.

E’ per questo che il demonio, per bocca del povero disgraziato, apostrofa Gesù, con piena consapevolezza: “lo so chi sei: il Santo di Dio”.

“Santo” è colui che è riservato a Dio, consacrato a Lui. Come tale agisce con potere divino, ben noto al demonio, il quale, parlando al plurale, riassuntivo di tutto il genere demoniaco, protesta: “sei venuto a rovinarci!”.

Lucida ammissione demoniaca: il sopraggiungere di Gesù e, con lui, della redenzione dal peccato, segna la fine del regno di Satana. Infatti Gesù “lo sgrida”, intimandogli: “taci! esci da quell'uomo”. Due imperativi soltanto, mediante i quali Gesù toglie al demonio la parola e l’azione, perché è giunto il tempo della Parola di Dio incarnata e dell’opera liberatrice dal male.

La descrizione del demonio che, costretto da due sole parole, deve allontanarsi dall’uomo, ma “straziandolo e gridando forte”, fa rilevare quanta potenza aveva avuto su di lui, sino a sostituirne la personalità e come non vorrebbe rinunciare alla presa.

Gli astanti non cessano di stupirsi: Gesù ha un insegnamento e, soprattutto, un’autorità nuova, espressa non soltanto verbalmente, ma convalidata da fatti irrefutabili.

“La sua fama” non può non diffondersi, “subito” e “dovunque”. Incontenibilmente.

Fonte: Il Cittadino
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