La parola
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Convertitevi e credete al Vangelo

I Domenica di Quaresima (18 febbraio 2018)

Con il diluvio, Dio purifica e rigenera l’umanità abbrutita dal peccato e si impegna, con Noè e discendenti, a non permettere più una distruzione totale, nonostante la, prevista, fragilità dell’uomo: un’alleanza, un patto, in cui Dio impegna se stesso, la sua misericordia.

Noè è il nuovo capostipite dell’umanità salvata dal diluvio. E’ prefigurazione, tipo, del Messia, di Cristo “nuovo Adamo”, come il diluvio è prefigurazione del Battesimo, in cui trovano salvezza non poche persone, ma l’intera umanità, grazie all’opera redentrice di Gesù, il quale offre la propria sofferenza di “giusto per gli ingiusti”.

Gesù “nuovo Adamo”, riassume in sé tutto il genere umano, quindi la sua opera di redenzione è azione vicaria, si sostituisce a tutti gli uomini. Pertanto egli rivive la tentazione del primo Adamo, per vincerla, rivive l’esperienza del Popolo Eletto nel deserto dell’Esodo ed inaugura l’epoca della salvezza, destinata a riportare l’uomo all’armonia paradisiaca delle origini, non a livello naturale, ma soprannaturale.

 

II racconto di Marco circa la permanenza di Gesù nel deserto della Giudea, dopo il rito battesimale nel Giordano, prima di avviare la sua missione, è estremamente scarno, sintetico, anzi telegrafico, rispetto alla narrazione, più ampia, fornita da Matteo e da Luca, i quali descrivono dettagliatamente la triplice tentazione, di cui il Messia è fatto oggetto.

L’evangelista non tralascia, però, di far notare che è lo “Spirito a sospingere Gesù nel deserto”: cioè quanto avviene – in questa circostanza ed in seguito – non è casuale, frutto di circostanze fortuite o comunque avulse dal progetto divino, ma è, costantemente, sotto la regia della potenza divina, la quale – come già per i profeti dell' Antico Testamento – “sospinge” coloro che investe (cfr. 1° Re, 18,12; 2° Re 2,16; Ez 3,12, 14 ss.; 8,3; 11,24; At  8,39). L' iniziativa è di Dio. Sempre.

Nell’Antico Testamento l’aridità del deserto è simbolo di una terra, cui Jahvé ha negato la sua benedizione, privandola della pioggia e della fertilità: in tale senso i profeti assimilano al deserto le città sulle quali si è abbattuto il castigo divino.

Nella mentalità popolare, il deserto è pure dimora dei demoni, degli spiriti maligni e di alcuni animali favolosi (cfr. Is 13,20-22; 34,11-16; Sf 2,14; Lc  8,29; Ap 18,2).

E quando i profeti vogliono annunciare i tempi messianici parlano pure della trasformazione del deserto in giardino, in cui le fiere diventeranno inoffensive.

In particolare i quarant’anni passati da Israele nel deserto, all’epoca dell’Esodo, rappresentano, nella memoria delle generazioni successive, il periodo dell’insegnamento divino, il periodo aureo dell’Alleanza, del primo amore e del fidanzamento di Jahvé con il suo popolo.

Tuttavia è ricordato pure come tempo di tentazioni, di prove, di rimostranze, di mormorazioni e di ribellioni di Israele, sul quale Dio interviene puntualmente, sia per inculcare le esigenze della giustizia sia per offrire un esempio della fedeltà misericordiosa, della sollecitudine, della provvidenza paterna e potente di Dio, il quale, comunque, mai abbandona il popolo, con cui ha siglato l’Alleanza.

Gesù è presentato ora – tra le righe –come il “nuovo Adamo”: colui che riassume in sé tutta l’umanità da salvare e in particolare il Popolo Eletto. Quindi rivive – e reintegra pienamente – nei quaranta giorni i quarant’anni dell’Esodo.

“Quaranta” è numero simbolico, che designa un lunga vicenda che è giunta a completezza ed anche la prova, il castigo (es. il diluvio, Gn 6,5) e l’espiazione con il digiuno; ricorda pure i quaranta giorni  e quaranta notti del ritiro di Mosè con Jahvé, sul monte Sinai (Es 34,28; Dt 9,9) e del profeta Elia, in cammino, per quaranta giorni e quaranta notti, verso il Sinai  (1° Re 19,8).

Gesù riassume in sé la storia del popolo che deve salvare. Rivive anche la storia dell’umanità, peccatrice in Adamo, sottoponendosi all’esperienza della tentazione di Satana: il “nuovo Adamo” riscatta il primo Adamo, sostenendo e vincendo la tentazione demoniaca.

E così ricostituisce le condizioni paradisiache: gli animali selvaggi non s’avventano sull’uomo, ma convivono familiarmente con lui, mentre gli angeli lo servono.

 “Gesù schiude di nuovo il paradiso, che il primo uomo aveva perduto con leggerezza” (J. Jeremias). Uno scritto apocrifo giudaico dell’Antico Testamento – “Testamentum Nephtalim” – recita: “se dunque fate il bene, figli miei, gli uomini e gli angeli vi benediranno e Dio sarà glorificato tra i popoli per mezzo vostro e il diavolo fuggirà da voi e le bestie selvagge vi temeranno, il Signore vi amerà,e gli angeli si accosteranno a voi” (VIII, 4).

La mansuetudine degli animali selvaggi è presentata dai profeti quale simbolo dei tempi messianici (Is 1,6-8; 65,25; Os 2,20): il “nuovo Adamo” ripristina la signoria dell’uomo sugli animali feroci.

Identico significato, di ricostituita condizione paradisiaca, hanno la presenza e il servizio degli angeli a Gesù: Adamo era stato cacciato dall’Eden da un angelo, il “nuovo Adamo” torna ad essere assistito, anzi “servito”, dai messaggeri celesti. Tutto ciò perché Gesù ha vinto la tentazione di Satana, riabilitando quindi Israele e l’umanità, che Egli ricapitola in sé, con straordinaria “personalità corporativa”.

Da sottolineare che la forma verbale adottata indica che gli angeli “lo servono” in continuità, perché Gesù sta al di sopra di essi: Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio.

Fonte: Il Cittadino
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