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24° domenica del Tempo Ordinario - anno A, Govanni 3,13-17

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo

In questa domenica, ricorre la festa dell'Esaltazione della Santa Croce: l'origine di una tale solennità ci riporta alla chiesa madre di Gerusalemme, dove, secondo la tradizione, venne ritrovata parte della croce di Cristo, nel IV secolo, e successivamente nel 628 la preziosa reliquia, trafugata dai Persiani, fu ricondotta a Gerusalemme dall'imperatore bizantino Eraclio. Al di là dell'origine storica di questa commemorazione, la festa attuale ha un profondo significato, e celebra il paradosso di uno strumento di morte, divenuto strumento di vita e di risurrezione.

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo

In questa domenica, ricorre la festa dell'Esaltazione della Santa Croce: l'origine di una tale solennità ci riporta alla chiesa madre di Gerusalemme, dove, secondo la tradizione, venne ritrovata parte della croce di Cristo, nel IV secolo, e successivamente nel 628 la preziosa reliquia, trafugata dai Persiani, fu ricondotta a Gerusalemme dall'imperatore bizantino Eraclio. Al di là dell'origine storica di questa commemorazione, la festa attuale ha un profondo significato, e celebra il paradosso di uno strumento di morte, divenuto strumento di vita e di risurrezione. La vera esaltazione della croce si è realizzata nella morte di Cristo, che, consegnando se stesso, liberamente, al Padre e agli uomini, ha trasformato un violento e crudele supplizio in un atto di amore e ha immesso nell'oscurità della sofferenza e della morte una potenza di salvezza e di vittoria, resa manifesta nell'evento della sua risurrezione. Noi guardiamo alla croce, coscienti che il Crocifisso è il risorto, è il vivente, è colui che ha attraversato l'ingiustizia e l'angoscia di una morte violenta, e ha dato un senso totalmente nuovo alla croce, piantata in mille modi, nella terra della storia umana. Il Vangelo proposto al nostro ascolto è un breve passaggio del lungo discorso di Gesù a Nicodemo, che nella parte finale assume la forma di un intenso monologo, nel quale l'evangelista esprime il cuore del suo annuncio. Gesù parla di sé come il Figlio dell'uomo: chiaramente è espresso tutto il mistero di Cristo, venuto dal Padre, disceso dal cielo, e tornato al Padre, attraverso la sua Pasqua, il suo passaggio da questo mondo al Padre. Qui Giovanni penetra nella profondità della morte di Cristo, utilizzando il linguaggio dell'innalzamento del Figlio dell'Uomo, elevazione che, in forma plastica accade nella crocifissione, nel Figlio innalzato e appeso al legno della croce, ma che, in forma più piena, si compie nella sua glorificazione, nel suo ascendere al Padre, risorto per sempre come Signore. Ecco il paradosso: mentre Gesù è innalzato dagli uomini sulla croce, nell'apparente sconfitta e maledizione da parte di Dio stesso, in quell'istante drammatico il Padre innalza Suo Figlio, come segno di salvezza, come il Trafitto al quale tutti guarderanno (Gv 19,37), come Colui che, innalzato da terra, attira tutto a sé (Gv 12,32). Si verifica un capovolgimento, già adombrato da un misterioso segno nella storia d'Israele, il segno del serpente di bronzo, fatto da Mosé, e posto su un'asta, la cui vista guariva gli Ebrei dai morsi dei serpenti (cfr. Nm 21,4-9): c'è una singolare somiglianza tra ciò che produce la morte - i serpenti nel deserto - e ciò che guarisce e che salva, una trasformazione in segno di vita di ciò che, per Israele, era segno di morte. La stessa cosa, lo stesso capovolgimento avviene con Gesù, umiliato, crocifisso, in tutto somigliante ad un peccatore abbandonato da Dio, fatto addirittura peccato (2Cor 5,21), eppure è proprio Lui il redentore, colui che apre la via della vita e della salvezza per tutti, e lo sguardo della fede, che si concentra su Gesù crocifisso, diviene sorgente di grazia, di perdono, di vita piena: 'E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna'. In questo modo, Giovanni ci chiede di guardare alla croce come luogo dell'autentica gloria, intesa quale splendore di un amore sino alla fine, rivelazione definitiva della carità del Padre: così, a tal punto Dio ha amato il mondo, e nel mondo ha amato l'uomo, l'unica creatura capace di riflettere in sé l'immagine del suo Creatore, fino a dare, a consegnare il suo Figlio unigenito, colui che aveva di più caro. Una consegna che, appunto, si è realizzata nel segno della croce, una consegna che mostra il desiderio di Dio, la sua passione perché chi crede e guarda con fede questo segno, non sia perduto, ma partecipi della vita eterna. Esaltare la croce è possibile solo se ne comprendiamo il senso, se scorgiamo in essa il dono totale del Padre, del Figlio, dello Spirito; da questa scoperta nasce anche un modo nuovo di giudicare e valutare la croce che la vita stessa porta con sé.

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