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Quali ‘relazioni’ dopo la pandemia?

Sempre più, oggi, la vita sociale sembra gestita solo dalla tecnologia

Quali ‘relazioni’ dopo la pandemia?

Sono certamente più di 19 le domande che ci siamo posti in questi giorni. Giorni che hanno cambiato la storia, che hanno cambiato la vita di molte persone, di molti di noi.
Non possiamo tirarci indietro alle provocazioni che questa situazione ci ha messo davanti.
La prima provocazione è stata quella di sbatterci in faccia una fragilità per così dire esistenziale che avevamo smarrito, almeno noi del mondo “occidentale”. Che un virus potesse metterci in ginocchio in maniera così rapida e spaventosa seminando un panico che ci ha riportato ai tempi del Manzoni e della peste, era molto lontano dai nostri pensieri. Ci sentivamo al sicuro, invincibili. Destinati a una longevità e a una invulnerabilità osannata dalle pubblicità, evidentemente ingannevoli. Unico nostro destino era come consumare e far crescere il Pil. All’improvviso è apparsa sulla scena la paura della morte. Una occasione per ritornare a una consapevolezza migliore della nostra vita. L’uomo del terzo millennio è pur sempre una creatura che può essere spazzata via da un microbo. Non dimentichiamolo troppo in fretta, ne guadagneremo in sapienza. La domanda che ne segue è: Quali stili di vita siamo disposti a re-inventarci dopo il coronavirus? Quali modi di “consumare”? Quali modi di “relazionarci”?

La seconda provocazione è che è un virus che divide e divide fortemente. Ha diviso anziani e giovani, sani e malati, facendoci anche addentrare nel pensiero che “intanto colpisce solo vecchi e infermi” fino a che ci siamo resi conto che quei vecchi e infermi non erano altri ma eravamo noi, i nostri padri, i nostri nonni, i nostri amici, vicini, la nostra storia…

Ha diviso i luoghi, le regioni, gli stati, i continenti, “intanto qua da noi non arriva”, finchè ci siamo resi conto che era arrivato ovunque, perché “se una farfalla sbatte le ali dall’altra parte del mondo cambiamo anche noi…”; ha diviso la società tra chi ha lavorato rischiando e chi ha dovuto fermarsi, tra chi è stato protetto dagli ombrelli sociali e chi ne è uscito perché non rientra nei radar istituzionali, tra chi aveva solide basi e ha resistito e chi fragile si è inabissato; da qua una domanda semplice: quanto siamo disposti ad accettare una distanza fisica dovuta a regole igieniche e a rifiutare una distanza sociale acuita dalla crisi economica derivata dal coronavirus? Cosa vogliamo fare per far sì che nella nostra comunità non si accentui la forbice tra chi sta bene e chi ha bisogno? Cosa vogliamo fare e come impostare il nostro modo di aiutare con gli strumenti che abbiamo (Caritas, Centro di Ascolto, Relazioni umane etc etc).

La terza provocazione è stata l’invasione del mondo telematico. La Fede stessa è stata demandata ai canali tecnologici: il lavoro ha preso una piega differente con lo “smart working”, la scuola è diventata DAD, pericolosissimo acronimo di dove va la scuola se accostato al genovese, la fede è salita non in cielo ma in streaming. Tutte cose in sè positive, ma che portano rischi e ci aprono gli occhi su una strada da tempo intrapresa da economia, cultura, relazioni umane. Pensiamo alle polemiche scaturite sull’uso di una app che segnalava la vicinanza di infetti.

E pensate a tutto ciò che ogni giorno scarichiamo sui nostri cellulari e dei nostri figli. Noi siamo già controllati su tutto, siamo mappati su ogni spostamento, inseguiti da decine di telefonate al giorno, i nostri dati venduti ma pare che tutti facciano finta di non saperlo. Se questo sarà il mondo a cui tutti saranno obbligati a iscriversi pena l’esclusione sociale, allora sarebbe il caso che la comunità civile ne parli.

Evviva facebook, instagram, you tube, internet, 5G, tik tok, streaming e quant’altro di anglofono possiamo ‘spararci’ di mezzo. Ma… tutte queste cose chi le regola? Da chi dipendono? Se l’alunno è obbligato ad avere un computer e una linea internet pena l’esclusione sociale, allora questo servizio rientra nel campo dei diritti fondamentali… e non può essere demandato al mercato quantunque libero.

Le domande sono semplici: quale influsso avrà internet e la tecnologia nella nostra pastorale e nella nostra vita? Come si pone la comunità cristiana rispetto a questo uso massiccio? La Fede si trasmette attraverso questo mezzo?

Fonte: Il Cittadino
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