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Dickens. L'uomo che inventò il Natale

Il racconto della nascita di "A Christmas carol"

Dickens. L'uomo che inventò il Natale

Londra 1843: dopo aver raggiunto l’apice del successo, il celebre scrittore Charles Dickens vive un momento di crisi ispirativa che, dopo ben tre fallimenti, si riflette anche sulla condizione economica della propria famiglia. Così, dopo i dubbi espressi dai suoi editori sull’idea di un nuovo romanzo con ambientazione natalizia, lo scrittore decide di autopubblicarselo. Inizia così una vera e propria corsa contro il tempo per riuscire a dare alle stampe in sole sei settimane A Christmas Carol, destinato a diventare uno dei suoi più grandi successi. 

Ispirato a L’uomo che inventò il Natale, romanzo pubblicato nel 2008 da Les Standiford, va immediatamente precisato che Dickens non è un biopic, almeno non nel senso tradizionale del termine. Non solo perché gli eventi descritti (a parte l’incipit newyorchese) sono concentrati in sole sei settimane e dunque focalizzati su un particolare momento della carriera dell’autore di Oliver Twist, ma anche perché l’idea che sorregge il film non è certamente la descrizione della sua Vita (o una parte di essa) bensì quella di mettere in scena la crisi che le restituisce il senso profondo, ovvero il “travaglio” di un Autore alle prese con la propria Creazione. Dickens infatti è animato dal continuo mescolamento di due piani: il primo è quello della Realtà con la quale lo scrittore si trova necessariamente in rapporto (gli amici, la famiglia, i colleghi, la servitù etc); il secondo è quello della sua Fantasia, dove l’ispirazione nasce dall’osservazione del quotidiano e dalla sua rielaborazione in chiave espressiva. Due piani che albergano nella mente dell’Autore e che dunque dialogano, interagiscono, s’influenzano reciprocamente.

Se è vero che il tema della “lotta” tra l’Autore e i suoi Personaggi può apparire poco originale (con più o meno evidenti echi pirandelliani, seppur scevro della portata filosofica dell’autore agrigentino), va comunque sottolineato come Dickens riesca comunque a ben tradurlo sullo schermo, poiché vi traspone quel particolare stato d’alterazione mentale vissuta da molti di coloro che si trovano al centro di una fase creativa. Un esito soddisfacente anche grazie ad alcune azzeccate scelte di scenografia, di costumi e di casting (tra le quali spiccano un paio di ruoli secondari).

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