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Rapporto Istat: Italia, nell'incertezza

Aumentano negli italianila preoccupazione per il futuro e l'angoscia per la guerra

L'Istat ha confermato che l'inflazione in novembre si è mantenuta all'11,8%, il tasso più alto dal marzo del 1984, anche grazie al clima temperato che ha fatto scendere la domanda di gas ma il dato relativo al "carrello della spesa" è continuato a salire con i beni alimentari, quelli per la cura della casa e della persona che sono passati dal 12,6% al 12,8% ed i consumatori che non percepiscono, neppure in prospettiva, alcuna inversione di tendenza.

Il moderato ottimismo dell'Istat è stato smentito da quanto sta accadendo con i prezzi del gas saliti del 13,7% a causa dell'aumento della domanda, con la caduta generalizzata delle temperature, che porterà un aumento medio di spesa per ogni famiglia di 1.740 euro.

La corsa dei prezzi del gas che, dopo una breve parentesi nel mese di ottobre in cui le tariffe sono scese del 12,9% a causa del caldo anomalo, ha segnato un nuovo aumento del 13,7% per le famiglie e le imprese, ha portato due italiani su tre ad avere paura della recessione come risulta dal 56esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del nostro paese.

Il rapporto conferma che il 65% degli italiani, il 10% in più rispetto al 2019 prima della pandemia da Covid19, si sente smarrito ed incerto per il futuro percependo come rischi globali per il 46,2% la guerra, per il 45% la crisi economica, per 37,7% le minacce provenienti da virus letali o da nuove minacce biologiche per la salute, per il 26,6% l'instabilità dei mercati internazionali, per il 24,5% gli eventi atmosferici catastrofici amplificati dalle temperature torride e dalle precipitazioni sempre più intense ed infine per il 9,4% gli attacchi informatici su vasta scala.

Lo studio conferma anche che in Italia 335.000 aziende, l'8,1% del totale delle imprese attive, potrebbero non raggiungere un equilibrio economico tra costi e ricavi ed entrare in crisi mettendo a rischio 3,3 milioni di posti di lavoro per l'86,6 % nel settore del terziario. Nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2020 le imprese attive si sono ridotte di oltre 15mila unità con un calo nella classe fino a 9 addetti che ha raggiunto il numero di 18.155 imprese.

In questo contesto molto difficile il nuovo esecutivo guidato dalla premier Giorgia Meloni si trova a dover affrontare le problematiche legate al Mes ed al Pnrr. Il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, è un organismo nato nel 2012 per prestare aiuto ed assistenza agli Stati membri in difficoltà finanziaria e che dal 2017 è stato sottoposto ad una profonda revisione che si è chiusa il 27 gennaio 2021 con l'accettazione di tutti i 19 paesi dell'Eurozona ma che deve essere sottoposta alla ratifica dei Parlamenti nazionali e che sta incontrando enormi ostacoli. Il governo guidato dalla premier Meloni ha deciso di esprimersi contro il Mes dando parere negativo alla Camera ad una mozione presentata dal Terzo Polo che avrebbe impegnato l'esecutivo a portare "nel prossimo consiglio dei ministri utile, e comunque entro la fine del 2022, il disegno di legge che ratifica la riforma del trattato istitutivo del Fondo Salva Stati".

L'atto approvato dalla maggioranza rimanda nel tempo ogni decisione precisando che lo fa "alla luce dello stato dell'arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull'evoluzione del quadro regolatorio europeo" ed in parole semplici si unisce alla Germania, l'altro paese che non ha ancora provveduto alla ratifica della riforma, che è in attesa della sentenza della Corte Costituzionale tedesca. La sottosegretaria all'Economia Lucia Albano ha ribadito la contrarietà di questo esecutivo alla ratifica di una riforma che potrebbe mettere in grave difficoltà il nostro paese ricordando che "Esprimiamo la nostra contrarietà alla ratifica perché riteniamo che le condizioni di accesso all'assistenza finanziaria siano eccessivamente stringenti. L'organizzazione intergovernativa e le sue regole devono essere oggetto di riflessione comune, anche in considerazione delle mutate condizioni del quadro macroeconomico europeo".

La rigidità di Bruxelles sul cronoprogramma del Pnrr mette in gravissima difficoltà il nostro paese che, se anche riuscirà a raggiungere i 55 obbiettivi al 31 dicembre di quest'anno, non ha alcuna possibilità di portare a termine i grandi progetti infrastrutturali e le riforme entro il 2026. Il nostro esecutivo deve avviare una rapida e decisa trattativa con l'Ue per stabilire nuove date ragionevoli per la realizzazione dei grandi investimenti materiali in infrastrutture, come le ferrovie, tenendo anche conto del grandissimo impegno che lo attende e che è rappresentato dal termine inamovibile per le riforme per il quale l'Ue ha più volte ribadito che non esiste possibilità di revisione.

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