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Il tema della vocazione nell'arte

Un approfondimento culturale sulla chiamata degli Apostoli

Il tema della vocazione nell'arte

Dopo il suo battesimo e al ritorno dal deserto delle tentazioni, Gesù rivendicò come sue le parole d’Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Luca, 4, 16-19; cfr. Isaia, 61, 1-2). Tale pubblica rivendicazione dell’intervento dello Spirito è fondamentale per ogni discorso sulla Chiesa e sul ruolo dei suoi sacerdoti. Cristo aveva sentito lo Spirito sopra di lui al Battesimo; dallo Spirito egli era stato poi sospinto nel deserto, e – sempre secondo Luca – dopo la tentazione era tornato “in Galilea con la potenza dello Spirito Santo” (4, 14). Dopo il ritorno dichiara poi di intraprendere la sua missione sotto lo Spirito, ed ecco la spiegazione di quanto segue, il successo della sua attività di predicatore e guaritore: in lui tutti sentivano la presenza dello Spirito di Dio. L’influsso dello Spirito è chiaro soprattutto nel primo passo compiuto da Cristo quando cominciò ad annunciare l’imminenza del regno: la chiamata degli apostoli. “Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi, subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono” (Matteo, 4, 18-22; Marco, 1, 16-20). Questo momento è raffigurato in una splendida pala d’altare con la “Vocazione dei figli di Zebedeo” del veneziano Marco Basaiti, conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e datata 1510.  Qui l’assoluta autorevolezza di Cristo che chiama, e l’immediata risposta di Giacomo e Giovanni che “subito” gli obbediscono, suggeriscono in modo evidente la presenza dello Spirito Santo. Alla destra e sinistra di Cristo stanno, rispettivamente, Pietro e Andrea che hanno anch’essi accolto l’invito del Salvatore a seguirlo e ora, assieme a lui, ricevono i nuovi arrivati; si tratta quindi di una presenza dello Spirito diffusiva, che crea intorno a Gesù una comunità, il primo nucleo della Chiesa. È questo il vero inizio del ministero pubblico: fu solo dopo la chiamata dei primi discepoli, infatti, che “Gesù andava per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Matteo, 4, 23). L’insegnamento, la predicazione, le guarigioni, benché personali – attribuibili cioè solo a Cristo – tuttavia coinvolgevano altri, fratelli che avevano lasciato tutto per seguire quest’uomo su cui lo Spirito del Signore si era posato. Non solo i rozzi pescatori del litorale galileano, ma anche personalità più complesse, segnate dal peccato, come san Matteo, accoglieranno la chiamata di Cristo. Di questa chiamata è celebre esempio la “Vocazione di San Matteo”dipinta da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio tra 1599 e 1600 per la  Cappella Contarelli, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma Ispirata all'episodio raccontato in Matteo 9,9-13,  la tela occupa un’intera parete laterale della cappella in cui si trova. Nella Roma che allora viveva il fermento della Riforma Cattolica – che vedeva nuovi ordini religiosi impegnati nel recupero di casi disperati, offrendo alloggio e istruzione ai ragazzi della strada, aprendo i conventi alle prostitute riformate – il dipinto parlava con singolare forza del potere santificante di Cristo in ogni situazione di vita, perfino nel peccato. Notiamo poi che Cristo e san Pietro, che entrano da destra, dove sta l’altare nella cappella – vestano abiti appartenenti al mondo antico: al loro periodo storico cioè. Il “decoro” religioso viene così tutelato e la drammaticità del momento addirittura intensificata, perché, più di un evento del passato in veste moderna, l’immagine suggerisce come il senso di un evento storico possa irrompere in una situazione attuale. Il dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto vuoto, occupato solo dalla finestra, mentre quello in basso raffigura il momento preciso in cui Cristo indica San Matteo. Matteo è seduto ad un tavolo con un gruppo di persone, vestite come i contemporanei del Caravaggio, come in una scena da osteria. E così, solo alcuni dei personaggi investiti dalla luce (i destinatari della "vocazione" insieme a Matteo il Pubblicano) volgono lo sguardo verso Gesù, mentre gli altri preferiscono restare a capo chino, distratti dalle proprie solite occupazioni. La luce inoltre ha la funzione di dare direzione di lettura alla scena, che va da destra a sinistra e torna indietro quando incontra l'umanissima espressione sbigottita ed il gesto di San Matteo che punta il dito contro se stesso al fine di ricevere una conferma, come se chiedesse a Cristo e a San Pietro: "State chiamando proprio me?". L’altra importante commissione pubblica del Caravaggio negli ultimi anni del XVI secolo era per due tele alle pareti laterali della Cappella del cardinale Tiberio Cerasi in Santa Maria del Popolo di Roma, una delle quali è identificata nel contratto del 1601 come “il mistero della conversione di san Paolo”, pure questa una scena di vocazione, che Caravaggio rappresenta come un evento interiore e misterioso, avvolto di luce e silenzio “visionario” precisamente nella cecità di cui l’apostolo viene temporaneamente colpito (Atti, 9, 1-9). A differenza di altri, che avevano rappresentato l’evento con soldati e servi spaventati, con cavalli imbizzarriti, con apparizioni divine, Caravaggio riduce gli elementi narrativi a due uomini, un cavallo, e la luce che fa da protagonista. La lettura che Caravaggio dà all’evento è fedele al racconto neotestamentario che descrive una presa di coscienza lacerante, una fulminazione morale e spirituale che mette in crisi tutto il senso di una vita. Saulo (successivamente Paolo), l’accanito nemico della primitiva Chiesa, era in viaggio verso Damasco con l’autorizzazione dell’alto sacerdote di fermare e imprigionare i discepoli di Cristo, quando, “all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare” (Atti, 9, 3-9). “Ti sarà detto ciò che devi fare”. Caravaggio fa vedere qui la luce accecante, che diventa in quell’istante l’intero universo di Saulo; fa quasi sentire il silenzio, nell’immobilità delle figure, e fa sentire anche il disorientamento di quest’uomo che capisce d’aver sbagliato tutto. Saulo si trova letteralmente “a terra”, le sue certezze azzerate, brancolante nel buio di una luce troppo grande, travolgente. Ma accetta che gli sarà detto ciò che deve fare. L’ordinarietà del grande cavallo e la calma imperturbabile del servo sottolineano la totalità del mistero: nel mondo esteriore nulla è cambiato, ma nel cuore del santo tutto cambia. Cambierà anche il nome, e Paolo, riaprendo gli occhi, non vedrà più le cose come prima. Ormai potrà dire: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Galati, 2, 20). È questo forse il senso delle braccia innalzate. Nel buio luminoso, Paolo già incomincia a vivere di Cristo crocifisso. 

Fonte: Il Cittadino
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