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Europa, la sfida dei cristiani

In un'intervista al Card. Angelo Bagnasco una riflessione a vent’anni dalla firma della Carta Ecumenica

Europa, la sfida dei cristiani

In occasione del ventennale della Carta Ecumenica Europea, abbiamo posto alcune domande al Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo Emerito della diocesi di Genova e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.

La Carta Ecumenica Europea aveva, tra le sue ambizioni, quella di plasmare e fecondare l’Europa Cristiana del XXI secolo. Eravamo al termine di un lungo processo che lasciava intravedere un orizzonte di speranza e di rinascita con un’unione monetaria che stava per realizzarsi. Che cosa è rimasto, oggi, dopo una crisi economica devastante, i populismi, la Brexit e una pandemia, di quella Europa cristiana?
L’affermazione delle radici giudaico-cristiane nei cosiddetti trattati, così come San Giovanni Paolo II ha auspicato ripetutamente, non era una rivendicazione di tipo confessionale, ma un atto di onestà storica e di verità: se non ricordiamo da dove veniamo, non sappiamo dove andare nella nostra vita.
Questo vale per le singole persone, che non possono dimenticare le loro origini famigliari, ma vale anche per i popoli e gli stati.
Quando non vogliamo riconoscere la nostra storia è difficile poi avere delle prospettive ed è quello che mi sembra manchi in questi anni di cammino dell’Unione Europea verso il futuro, condiviso anche dai vescovi europei. Ci può essere talvolta nella persona singola, in una famiglia, ma anche in una comunità o in uno stato un momento di smarrimento sulla propria identità ed è quello che qua e là mi pare a volte emerga in Europa.

Dostoevskj si chiede, alle soglie del Novecento: "Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?". Che possibilità lei vede per la fede cristiana oggi in Europa e che contributo l’Ecumenismo può portare a questa fede?
Vedo innanzitutto una grande possibilità e un grande dovere da parte della fede cristiana e del Vangelo, proclamato dalle diverse confessioni cristiane il più possibile insieme: bisogna essere presenti.
La testimonianza dell’unità dei cristiani di fede in Gesù Cristo è un primo fondamentale annuncio della bellezza e dell’importanza del Vangelo del Signore.
Questo dovere diventa sempre più grande quanto più il tessuto europeo sembra perdere la consapevolezza della propria origine religiosa, giudaico-cristiana in modo particolare. Le possibilità che intravedo stanno nelle domande che emergono nelle coscienze degli individui dei vari stati del continente. Sono domande che riguardano il futuro, che circolano e crescono nel cuore delle persone, specialmente nelle giovani generazioni. Dove stiamo andando come singole persone, nazioni e anche come continente? Qual è il nostro posto in un mondo così convulso e conflittuale? Non avvengono contrapposizioni frontali come nel secolo scorso, ma altri tipi di conflittualità non meno pericolose e gravi, con effetti che possono essere devastanti. Quanto più cresce questa conflittualità più crescono le domande: è una possibilità e uno snodo storico che la fede cristiana non può mancare.

Secondo lei quali sono i germogli dello Spirito, le sorprese di Dio, che non dobbiamo perdere di vista - come cristiani - in questa nuova fase della nostra storia comune? Dove vede lei, oggi, la speranza viva per il nostro tempo?
La prima indicazione è il ritorno all’essenzialità da parte delle varie chiese e comunità cristiane. Non vuol dire smantellare le proprie strutture ecclesiastiche, ma tornare a Cristo, alla dimensione religiosa del cuore umano: è il fondamento del vivere e dell’operare dei singoli credenti e delle comunità cristiane. E’ un’opera di purificazione e conversione a cui i cambiamenti epocali che stiamo attraversando ci invitano, sono dei segni provvidenziali di Dio e della storia.
I germogli di speranza, come ho accennato prima, sono le domande che crescono nel cuore della gente e che riguardano appunto il futuro stesso del mondo, così confuso e smarrito. Spero che questa confusione non sia voluta, scatenata e provocata da qualcuno che ha interesse che si viva nello smarrimento esistenziale. Ci sono poi germogli che sono più concreti che mi sembra di vedere in molte nazioni del nostro continente, in cui gruppi di giovani o giovani adulti cercano una vita spirituale cristiana più intensa, con la partecipazione all’Eucaristia, l’adorazione eucaristica, la recita del Santo Rosario, la catechesi ancorata al magistero e alla tradizione viva della Chiesa che tramanda la Sacra Scrittura. Il Concilio, nella costituzione Dei verbum, afferma che Dio parla all’uomo attraverso due sorgenti, la Sacra Scrittura e la Tradizione. Questo desiderio da parte di gruppi piccoli ma diffusi che cercano spazi di spiritualità più profonda ci sono, sono germogli che paragono volentieri al deserto che in certi momenti dell’anno fiorisce: è uno spettacolo commovente che ho avuto modo di vedere nel corso della mia vita.
In questo senso non dobbiamo mai lasciarci andare alla sfiducia e anche nel cammino ecumenico bisogna riaffermare, alla luce anche dell’anniversario della Carta Ecumenica, la determinazione a camminare insieme, a più livelli: quelli più alti che riguardano le verità delle fede e della dottrina e altri più popolari come la preghiera e la fiducia vicendevole e, laddove possibile, l’ecumenismo della carità nonchè della testimonianza del martirio che purtroppo qua e là nel mondo ancora si verifica.

Fonte: Il Cittadino
Europa, la sfida dei cristiani
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